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 QUEL PLAYBOY DI CHRIS, ALIAS FRANZ KAFKA

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MessaggioTitolo: QUEL PLAYBOY DI CHRIS, ALIAS FRANZ KAFKA   QUEL PLAYBOY DI CHRIS, ALIAS FRANZ KAFKA Icon_minitimeMar Giu 16, 2009 1:34 pm

QUEL PLAYBOY DI CHRIS, ALIAS FRANZ KAFKA Kafka-as-pupil




Non più un uomo schiacciato dal mondo, ma un vincitore vizioso


RICHARD NEWBURY
Nella sua commedia «Kafka’s Dick» (1986), Alan Bennett immagina che Franz Kafka vada con l’amico Max Brod a trovare un impiegato di un’assicurazione inglese - ossessionato dalla vita dello scrittore - e sua moglie Linda, un’infermiera sexy su cui Kafka mette subito gli occhi, e lentamente si renda conto che Brod lo ha «tradito» perché al momento della sua morte per Tbc, nel 1924, non ha distrutto, come stabiliva il testamento, tutte le sue opere. Improvvisamente scopre di essere Il Franz Kafka letto in tutto il mondo, secondo solo a Shakespeare per saggi accademici sulla sua vita e le sue opere. In «Excavating Kafka» (Quercus, Londra), James Hawes, scrittore pure lui, mostra come Kafka sia stato tradito in modo ben più grave dai miti che l’accademia, l’industria turistica e i lettori moderni gli hanno costruito intorno in modo kafkiano; così oscurando l’autentica originalità della sua opera e ignorando la chiarezza della sua prosa tedesca.

I più comuni pregiudizi su Kafka, di fatto vere e proprie leggende, sono questi: il testamento imponeva a Brod di distruggere tutte le opere. Kafka fu di fatto sconosciuto in vita, anche perché esitava a pubblicare. Era terrorizzato dal brutale padre Hermann. Era schiacciato da un lavoro burocratico senza vie d’uscita. Era minato dalla tubercolosi, che sapeva l’avrebbe inevitabilmente ucciso. Era incredibilmente sincero sulle sue debolezze con le donne - troppo sincero. Ebreo di lingua tedesca a Praga, era chiuso in un doppio ghetto: una minoranza all’interno di una minoranza, in mezzo a un impero assurdo e in via di disfacimento. Le opere di Kafka si basano sulle sue esperienze di ebreo. Le opere di Kafka sono un sinistro presentimento di Auschwitz. Le opere di Kafka sono state bruciate dai nazisti.

Tutto questo non è la verità. Kafka era figlio di un milionario e viveva nella grande casa di famiglia o nelle case delle sue sorelle. Ebbe anche un suo appartamento in quella che sarebbe diventata l’Ambasciata Usa. Impiantò una sua fabbrica di amianto. Noto avvocato, era un dirigente delle Assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro per il Regno di Boemia, molto stimato, molto ben pagato, e aiutato nella carriera dall’amicizia personale con il presidente della società. In qualità di impiegato statale di alto livello, lavorava solo sei ore al giorno ed era esonerato dal servizio militare, sebbene il medico dell’esercito avesse considerato abile per la prima linea del fronte questo accanito culturista, sportivo, astemio, vegetariano e non fumatore. Non fu per debolezza fisica o povertà che si ammalò di tubercolosi, ma per aver bevuto del «sano» latte organico non pastorizzato. Questo avvocato, sempre molto brusco nelle trattative con gli editori, lasciò due testamenti a Max Brod. Nel primo gli chiedeva di distruggere i manoscritti, nel secondo faceva un elenco delle opere da salvare.

Kafka aveva qualcosa del playboy, passare vicino a un bordello era per lui «come per un innamorato passare vicino alla casa dell’amata». Quel dieci per cento di praghesi che costituivano la classe dominante tedesca boema era fatto al 40 per cento da ebrei integrati. I cechi erano la classe operaia, cui apparteneva anche l’amante di Kafka, la povera-ma-bella cameriera Hansi Szokoll, ignorata nelle leggende sebbene sieda accanto a lui nella famosa fotografia con la bombetta sulle ventitrè. I rapporti di Kafka con le donne del suo ceto erano infatti compromessi, non perché lui fosse tutto spirito o troppo onesto, ma perché aveva bisogno di sesso «sporco» con persone socialmente inferiori, come lasciano intendere la sua collezione pornografica sado-masochista e i tradimenti sistematici delle fidanzate.

Kafka era un cittadino leale e ben integrato dell’impero austro-ungarico, voleva la vittoria dell’Austria e della Germania nella Prima guerra mondiale e allestì un ospedale per soldati traumatizzati dai bombardamenti (ma solo per chi parlava tedesco) in una località chiamata Frankenstein. Il padre di Kafka, Hermann, era un uomo molto liberale per i tempi, concedeva al figlio grande libertà, mentre a Praga l’unico antisemitismo minaccioso proveniva dai nazionalisti cechi - perché gli ebrei erano tedeschi. Kafka conosceva tutti gli ultimi sviluppi letterari ed era appoggiato da una potente cricca guidata da Brod. I suoi ammiratori si chiamavano Robert Musil, Rainer Maria Rilke e Hermann Hesse. A 34 anni aveva già ricevuto il denaro del famoso Premio Fontane, dato alle stampe quattro libri che erano stati ben recensiti ed era entrato nella scuderia del maggior editore berlinese, Kurt Woolf.

Nel 1917-18 gli imperi russo, tedesco e austriaco erano inaspettatamente implosi, la Mitteleuropa vedeva ridisegnare i suoi confini e soffriva di iperinflazione. Soffrivano anche il mondo e le prospettive di un Kafka cui era stata appena diagnosticata la tubercolosi. In più si era trovato a vivere come tedesco austriaco in un Paese nuovo di zecca chiamato Cecoslovacchia. E’ la realtà di questo spartiacque che Kafka descrive nella sua opera - non come «angoscia dello studente» ma con humour nero. E lo fa ricorrendo al nuovo genere del poliziesco alla Sherlock Holmes, dove il male post darwiniano e non-religioso viene rivelato e punito dall’umana ragione. I lettori pensano di vivere in un mondo governato dalla morale e dalla ragione, dove il merito viene ricompensato. Kafka però ha dimostrato che la psicologia vincerà sempre sulla ragione.

Per Kafka i lettori hanno fatalmente torto se pensano che K. troverà accesso a una burocrazia misteriosa o Josef K avrà un processo corretto, una disputa verrà composta dalla verità dei fatti, una malattia ereditaria curata dalla medicina o il messaggio dell’imperatore, per il solo fatto di essere stato inviato, arriverà fino a voi. Kafka ci costringe a confrontarci con il fatto che possiamo avere nostalgia per il vecchio ordine (Il processo) o per i suoi simboli (Il castello), ma il post darwinismo, il post freudismo, il post gerarchia sono morti e irrecuperabili. Nell’uso che Kafka fa del poliziesco la logica forense delle prove alla Sherlock Holmes ora manca della condanna contro il potente, ancorché assurdo, auto-inganno psicologico. Perché Kafka ci mostra l’abisso tra il mondo che vogliamo e quello che abitiamo in un moderno Libro di Giobbe; scritto sul divano del dottor Freud - mettendo a nudo l’inconscio senza una coscienza.




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