di Marco Ponti 27.05.2009
La socialità dei servizi di trasporto è una scelta politica. E infatti molti paesi non li sussidiano. L'Italia invece ha tariffe molto basse e servizi capillari. Anche per i treni. Ma il concetto di servizio ferroviario universale è tecnicamente privo di senso. Per essere giustificato, ha bisogno di flussi di domanda molto consistenti, presenti nelle aree e sulle relazioni dense, ma non in quelle periferiche. Tuttavia, a nessuno interessa verificarne la socialità, nonostante che alle sole ferrovie regionali vadano 1.500 milioni di euro di risorse pubbliche.
La “socialità” dei servizi di trasporto non è un dogma, è una scelta politica tra le molte possibili, al contrario di altri servizi classificati come “universali”, per esempio acqua, elettricità o servizi postali. Più denari pubblici ai trasporti significa meno risorse per la casa o i parchi naturali. Inoltre, la gran parte delle risorse assorbite dai trasporti pubblici vanno a servire gli insediamenti periferici e dispersi, dove si genera poca domanda: un treno o un autobus pieno, anche con tariffe unitarie pesantemente sussidiate come le nostre, richiede ben pochi denari pubblici. Soprattutto se i costi di produzione sono efficienti.
LE CONSEGUENZE DEL SUSSIDIO
Molti paesi - Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone per esempio - hanno deciso di sussidiare poco i trasporti collettivi e hanno tariffe alte, vicine ai costi di produzione. Tariffe molto basse, come quelle italiane che sono mediamente il 30 per cento dei costi di produzione, congiunte a servizi molto capillari, danno segnali distorti alle scelte di insediamento: favoriscono ulteriori dispersioni residenziali e produttive, in una sorta di spirale non virtuosa.
Se questo vale in generale, i dubbi sulla socialità del trasporto ferroviario sono ancora più evidenti. Infatti il mezzo ferroviario ha capacità unitarie molto più elevate dell’autobus (e dell’aereo: un treno di lunga distanza porta senza problemi anche mille passeggeri), e per essere giustificato ha bisogno di flussi di domanda molto più consistenti, presenti nelle aree e sulle relazioni dense, ma non in quelle periferiche.
Il concetto, recentemente introdotto, di “servizio ferroviario universale” è tecnicamente privo di senso. Infatti, qual è il senso sociale di treni che rimangono poco usati, anche in presenza di pesanti sussidi? Su certe linee costerebbe meno alla collettività non solo fornire servizi di autobus gratuiti, ma addirittura portare i passeggeri in taxi. E considerazioni del tutto analoghe valgono per il trasporto ferroviario di merci, che necessita di una domanda molto concentrata per avere una qualche giustificazione, anche ambientale.
Gli aspetti distributivi poi non sono cogenti: i pendolari nelle aree periferiche sono più poveri di quelli nelle aree dense? Inoltre, la disponibilità di servizi ferroviari è necessariamente riservata ai residenti prossimi alle linee (meglio, alle stazioni) e con destinazioni anch’esse in qualche misura servite dal treno, cioè una assoluta minoranza della popolazione. Questa minoranza con accessibilità privilegiata gode già di una rendita, proprio perché risiede in punti privilegiati del territorio, dove si generano maggiori valori immobiliari.
Ma vi sono altri, solidi argomenti utilizzabili. Uno è quello ambientale: un treno semivuoto genera esternalità ambientali spesso superiori a quelle di un autobus ecologico. Considerazioni analoghe valgono poi per i fenomeni di congestione: è dove la domanda è densa che il treno, che richiede “rotture di carico”, cioè un cambio di mezzo, compete favorevolmente con una viabilità congestionata. Ma, si ripete, treni molto pieni richiedono pochi sussidi, o addirittura possono essere in attivo, se le tariffe sono ragionevoli e la gestione efficiente, per esempio perché c’è concorrenza, che è l’unica via per verificare l’efficienza dei costi di produzione, senza dover chiedere l’opinione del monopolista.
Vi sono poi altri aspetti sociali da considerare: il treno offre un servizio all’utenza spesso più comodo e rapido rispetto all’autobus, che in generale ha costi di produzione assai più bassi. Perché è necessario sussidiare la comodità e la velocità? A quella stregua, si dovrebbero sussidiare anche i servizi aerei. E infatti in molti paesi (Giappone, Inghilterra) le tariffe ferroviarie rispettano i costi di produzione e sono assai più elevate che non quelle di servizi di autobus “paralleli”.
E GLI AUTOMOBILISTI?
Inoltre, è verificato dalla modellistica internazionale che comunque una quota rilevante della popolazione continuerà a dover usare l’automobile privata, non certo per capriccio, ma a motivo delle origini e delle destinazioni dei loro spostamenti, non servibili col trasporto collettivo. Questo, anche se si attuassero politiche ancora più energiche e costose delle attuali in favore dei trasporti pubblici. D’altronde, basta osservare che trent’anni di trasporti pubblici iper-sussidiati e trasporti privati iper-tassati in Europa non hanno determinato apprezzabili spostamenti modali.
Ciò premesso, i viaggiatori automobilistici affrontano oneri fiscali rilevanti (circa la metà dei loro costi sono tasse), e generalmente non hanno alternative. I lavoratori pendolari che appartengono a questa categoria non meritano alcun supporto pubblico? Sono condannati a essere cittadini di serie B, stare in coda e pagare in silenzio? Qualche dubbio sembra davvero legittimo.
L’intera gamma delle osservazioni precedenti, si badi, è molto opinabile, nel senso che postula verifiche quantitative, spesso caso per caso.
Il problema vero che però emerge con grande evidenza da questa sommaria analisi è: perché le verifiche sulla socialità del servizio non vengono mai fatte, e in generale nemmeno proposte, nonostante il rilevante flusso di risorse pubbliche coinvolte? Si tratta di circa 1.500 milioni di euro per i soli servizi ferroviari regionali, senza contare i sussidi all’esercizio delle linee, gli investimenti e i sussidi incrociati sui treni di lunga distanza, che rappresentano comunque una allocazione arbitraria di risorse a fini sociali: i passeggeri delle linee cariche devono pagare anche per quelli delle linee scariche, anche nel caso fossero meno benestanti di questi ultimi, o che, come si è visto, le linee scariche non generino benefici sociali di sorta.
A nessuno interessa misurare la socialità dei servizi, anche se tecnicamente non vi sarebbero difficoltà di rilievo: per il gestore e per i decisori pubblici, infatti, questo è il migliore dei mondi possibili. La mano pubblica è pagatore in ultima istanza, e interviene sempre e comunque, ex-ante o ex-post.
Tanti Saluti. Giorgio