Giorgino
| Titolo: Di quelli che per scelleratezze sono venuti al principato Lun Apr 27, 2009 1:12 pm | |
| Capitolo VIII De his qui per scelera ad principatum pervenere. [Di quelli che per scelleratezze sono venuti al principato] Ma perché di privato si diventa principe ancora in dua modi, il che non si può al tutto o alla fortuna o alla virtù attribuire, non mi pare da lasciarli indrieto, ancora che dell'uno si possa più diffusamente ragionare dove si trattassi delle repubbliche. Questi sono quando, o per qualche via scellerata e nefaria si ascende al principato, o quando uno privato cittadino con il favore delli altri sua cittadini diventa principe della sua patria. E, parlando del primo modo, si monstrerrà con dua esempli, l'uno antiquo l'altro moderno, sanza intrare altrimenti ne' meriti di questa parte, perché io iudico che basti, a chi fussi necessitato, imitargli. Agatocle siciliano, non solo di privata fortuna, ma di infima et abietta, divenne re di Siracusa. Costui, nato d'uno figulo, tenne sempre, per li gradi della sua età, vita scellerata; non di manco accompagnò le sua scelleratezze con tanta virtù di animo e di corpo, che, voltosi alla milizia, per li gradi di quella pervenne ad essere pretore di Siracusa. Nel quale grado sendo constituito, e avendo deliberato diventare principe e tenere con violenzia e sanza obligo d'altri quello che d'accordo li era suto concesso, et avuto di questo suo disegno intelligenzia con Amilcare cartaginese, il quale con li eserciti militava in Sicilia, raunò una mattina el populo et il senato di Siracusa, come se elli avessi avuto a deliberare cose pertinenti alla repubblica; et ad uno cenno ordinato, fece da' sua soldati uccidere tutti li senatori e li più ricchi del popolo. Li quali morti, occupò e tenne el principato di quella città sanza alcuna controversia civile. E, benché da' Cartaginesi fussi dua volte rotto e demum assediato, non solum possé defendere la sua città, ma, lasciato parte delle sue genti alla difesa della ossidione, con le altre assaltò l'Affrica, et in breve tempo liberò Siracusa dallo assedio e condusse Cartagine in estrema necessità: e furono necessitati accordarsi con quello, esser contenti della possessione di Affrica, et ad Agatocle lasciare la Sicilia. Chi considerassi adunque le azioni e virtù di costui, non vedrà cose, o poche, le quali possa attribuire alla fortuna; con ciò sia cosa, come di sopra è detto, che non per favore d'alcuno, ma per li gradi della milizia, li quali con mille disagi e periculi si aveva guadagnati, pervenissi al principato, e quello di poi con tanti partiti animosi e periculosi mantenessi. Non si può ancora chiamare virtù ammazzare li sua cittadini, tradire li amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza relligione; li quali modi possono fare acquistare imperio, ma non gloria. Perché, se si considerassi la virtù di Agatocle nello intrare e nello uscire de' periculi, e la grandezza dello animo suo nel sopportare e superare le cose avverse, non si vede perché elli abbia ad essere iudicato inferiore a qualunque eccellentissimo capitano. Non di manco, la sua efferata crudelità e inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra li eccellentissimi uomini celebrato. Non si può, adunque, attribuire alla fortuna o alla virtù quello che sanza l'una e l'altra fu da lui conseguito. Ne' tempi nostri, regnante Alessandro VI, Oliverotto Firmiano, sendo più anni innanzi rimaso piccolo, fu da uno suo zio materno, chiamato Giovanni Fogliani, allevato, e ne' primi tempi della sua gioventù dato a militare sotto Paulo Vitelli, acciò che, ripieno di quella disciplina, pervenissi a qualche eccellente grado di milizia. Morto di poi Paulo, militò sotto Vitellozzo suo fratello; et in brevissimo tempo, per essere ingegnoso, e della persona e dello animo gagliardo, diventò el primo uomo della sua milizia. Ma, parendoli cosa servile lo stare con altri, pensò, con lo aiuto di alcuni cittadini di Fermo a' quali era più cara la servitù che la libertà della loro patria, e con il favore vitellesco, di occupare Fermo. E scrisse a Giovanni Fogliani come, sendo stato più anni fuora di casa, voleva venire a vedere lui e la sua città, et in qualche parte riconoscere el suo patrimonio: e perché non s'era affaticato per altro che per acquistare onore, acciò ch'e' sua cittadini vedessino come non aveva speso el tempo in vano, voleva venire onorevole et accompagnato da cento cavalli di sua amici e servidori; e pregavalo fussi contento ordinare che da' Firmiani fussi ricevuto onoratamente; il che non solamente tornava onore a lui, ma a sé proprio, sendo suo allievo. Non mancò, per tanto Giovanni di alcuno offizio debito verso el nipote; e fattolo ricevere da' Firmiani onoratamente, si alloggiò nelle case sua: dove, passato alcuno giorno, et atteso ad ordinare quello che alla sua futura scelleratezza era necessario, fece uno convito solennissimo, dove invitò Giovanni Fogliani e tutti li primi uomini di Fermo. E, consumate che furono le vivande, e tutti li altri intrattenimenti che in simili conviti si usano, Oliverotto, ad arte, mosse certi ragionamenti gravi, parlando della grandezza di papa Alessandro e di Cesare suo figliuolo, e delle imprese loro. A' quali ragionamenti respondendo Giovanni e li altri, lui a un tratto si rizzò, dicendo quelle essere cose da parlarne in loco più secreto; e ritirossi in una camera, dove Giovanni e tutti li altri cittadini li andorono drieto. Né prima furono posti a sedere, che de' luoghi secreti di quella uscirono soldati, che ammazzorono Giovanni e tutti li altri. Dopo il quale omicidio, montò Oliverotto a cavallo, e corse la terra, et assediò nel palazzo el supremo magistrato; tanto che per paura furono constretti obbedirlo e fermare uno governo, del quale si fece principe. E, morti tutti quelli che, per essere malcontenti, lo potevono offendere, si corroborò con nuovi ordini civili e militari; in modo che, in spazio d'uno anno che tenne el principato, lui non solamente era sicuro nella città di Fermo, ma era diventato pauroso a tutti li sua vicini. E sarebbe suta la sua espugnazione difficile come quella di Agatocle, se non si fussi suto lasciato ingannare da Cesare Borgia, quando a Sinigallia, come di sopra si disse, prese li Orsini e Vitelli; dove, preso ancora lui, uno anno dopo el commisso parricidio, fu, insieme con Vitellozzo, il quale aveva avuto maestro delle virtù e scelleratezze sua, strangolato. Potrebbe alcuno dubitare donde nascessi che Agatocle et alcuno simile, dopo infiniti tradimenti e crudeltà, possé vivere lungamente sicuro nella sua patria e defendersi dalli inimici esterni, e da' sua cittadini non li fu mai conspirato contro; con ciò sia che molti altri, mediante la crudeltà non abbino, etiam ne' tempi pacifici, possuto mantenere lo stato, non che ne' tempi dubbiosi di guerra. Credo che questo avvenga dalle crudeltà male usate o bene usate. Bene usate si possono chiamare quelle (se del male è licito dire bene) che si fanno ad uno tratto, per necessità dello assicurarsi, e di poi non vi si insiste drento ma si convertiscono in più utilità de' sudditi che si può. Male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, più tosto col tempo crescono che le si spenghino. Coloro che osservano el primo modo, possono con Dio e con li uomini avere allo stato loro qualche remedio, come ebbe Agatocle; quelli altri è impossibile si mantenghino. Onde è da notare che, nel pigliare uno stato, debbe l'occupatore di esso discorrere tutte quelle offese che li è necessario fare; e tutte farle a un tratto, per non le avere a rinnovare ogni dí, e potere, non le innovando, assicurare li uomini e guadagnarseli con beneficarli. Chi fa altrimenti, o per timidità o per mal consiglio, è sempre necessitato tenere el coltello in mano; né mai può fondarsi sopra li sua sudditi non si potendo quelli per le fresche e continue iniurie assicurare di lui. Perché le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno: e' benefizii si debbono fare a poco a poco, acciò che si assaporino meglio. E debbe, sopr'a tutto, uno principe vivere con li suoi sudditi in modo che veruno accidente o di male o di bene lo abbi a far variare: perché, venendo per li tempi avversi le necessità, tu non se' a tempo al male, et il bene che tu fai non ti giova, perché è iudicato forzato, e non te n'è saputo grado alcuno. (Niccolò Machiavelli) Tanti Saluti, Giorgio | |
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