di Vincenzo Scoppa
A parità di istruzione, genere, età, stato civile, area geografica e altri parametri, la probabilità di entrare nella pubblica amministrazione aumenta del 44 per cento per gli individui il cui padre lavora nel settore pubblico. Ma il nepotismo non è solo fonte di iniquità, ha anche costi rilevanti per le organizzazioni pubbliche, costrette a impiegare lavoratori meno competenti. E' essenziale un meccanismo che premi o penalizzi economicamente i responsabili delle selezioni sulla base della qualità delle scelte effettuate.
I posti di lavoro nel settore pubblico sono particolarmente ambiti in Italia sia per un significativo premio salariale che pagano rispetto ai lavori nel settore privato, a parità di caratteristiche individuali, sia per la sicurezza dell’occupazione e le migliori condizioni di lavoro che garantiscono.
DI PADRE IN FIGLIO
Sulla base di tali considerazioni, è ragionevole pensare che molti pubblici dipendenti provino a usare la loro posizione, le informazioni privilegiate di cui dispongono e il network di relazioni sociali formate sul posto di lavoro per favorire – al di là dei loro meriti, attraverso raccomandazioni o richieste di favori – l’accesso al settore pubblico dei propri figli.
Suscitano periodicamente scalpore i casi di docenti universitari che favoriscono i propri figli nell’accesso alla carriera accademica, i politici che assicurano lauti incarichi ai familiari o le assunzioni clientelari alla Rai. (1) Ma probabilmente il fenomeno è più esteso di quanto si riesca a percepire e riguarda numerosi comparti della pubblica amministrazione.
In un recente lavoro, utilizzando dati individuali tratti dall’Indagine sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane della Banca d’Italia dal 1998 al 2004, cerchiamo di stimare la probabilità di ottenere un posto di lavoro pubblico, tenendo conto di una serie di caratteristiche individuali e delle condizioni dei mercati del lavoro locali, allo scopo di verificare se i figli dei dipendenti pubblici godono di un vantaggio nell’ottenere un’occupazione pubblica rispetto agli individui il cui padre non è dipendente pubblico. (2)
I risultati mostrano che la probabilità di entrare nella pubblica amministrazione aumenta di un considerevole 44 per cento per gli individui il cui padre lavora nel settore pubblico, a parità di istruzione, genere, età, stato civile, area geografica e così via. Nel campione considerato la probabilità di lavorare nel settore pubblico è di circa il 24 per cento. Se il padre è dipendente pubblico tale probabilità sale al 35 per cento, ceteris paribus. E aumenta ancora se anche la madre lavora nel settore pubblico, anche se l'effetto è meno forte.
In generale, la probabilità di lavorare nel settore pubblico dipende fortemente dagli anni di istruzione, sia per il tipo di lavoro svolto, sia perché un alto livello di istruzione consente di primeggiare nei concorsi pubblici. Il legame positivo emerge in tutte le aree geografiche, anche se con intensità diversa: per ogni anno aggiuntivo di istruzione la probabilità di diventare dipendente pubblico aumenta di 2,7 punti percentuali al Nord, di 3,2 al Centro e di 4,4 al Sud.
Il vantaggio goduto in qualità di figlio di dipendente pubblico corrisponde a circa tre anni di istruzione: così, per esempio, un diplomato il cui padre lavora nel settore pubblico ha le stesse chances di ottenere un posto pubblico di un giovane in possesso della laurea triennale, ma il cui padre lavora nel settore privato.
LA RESPONSABILITÀ DEI DIRIGENTI
Ovviamente, la maggiore probabilità di accesso goduta dai figli dei dipendenti pubblici potrebbe dipendere da preferenze o attitudini verso il tipo di lavoro comuni a padri e figli, dalla trasmissione di capitale umano di padre in figlio piuttosto che da pratiche nepotistiche e favoritismi. Una parte della correlazione tra tipo di professione dei padri e dei figli è sicuramente da imputare a questi fattori. Tuttavia, una serie di altri risultati empirici rafforzano l’ipotesi che una parte consistente della maggiore probabilità di ottenere un posto pubblico per i figli dei dipendenti pubblici sia legato al nepotismo.
Innanzitutto, mentre l’influenza del padre dipendente pubblico risulta piccola per i soggetti che si diplomano o si laureano con i migliori voti, il vantaggio risulta molto elevato per gli individui che ottengono voti bassi, cosicché il figlio di un dipendente pubblico non ha conseguenze negative da esiti scolastici mediocri mentre gli altri subiscono un notevole decremento della probabilità di accesso alla pubblica amministrazione. La probabile spiegazione è che i genitori dei figli meno bravi si prodigano di più per favorire la loro assunzione nella Pa, dal momento che le loro opportunità alternative nel settore privato sarebbero relativamente meno buone.
In secondo luogo, la probabilità di accesso alla Pa varia poco a seconda del settore di lavoro dei genitori per i soggetti che lavorano in un posto diverso dal luogo di nascita; “l’effetto padre” è invece più forte per coloro che non si spostano. Tale evidenza indica presumibilmente che “raccomandazioni” e “favoritismi” hanno efficacia solo all’interno del network sociale di appartenenza. Ancora, “l’effetto padre” è molto più accentuato nelle regioni del Mezzogiorno, affette da un maggiore grado di “familismo amorale”.
Infine, la probabilità di trasmissione del posto di lavoro da padre in figlio riscontrata nel settore pubblico è stata confrontata con la probabilità di trasmissione del posto di lavoro per gli imprenditori, liberi professionisti e altri lavoratori autonomi. Per tali categorie, è plausibile pensare che avvenga trasmissione di capitale fisico, capitale umano e “reputazione familiare” che favoriscono il passaggio di professione all’interno della famiglia. Nonostante ciò, la probabilità di trasmissione per i dipendenti pubblici risulta addirittura più elevata di imprenditori e lavoratori autonomi.
Il nepotismo rappresenta un fallimento della meritocrazia: oltre a essere fonte di iniquità, produce rilevanti costi per le organizzazioni pubbliche, costrette a impiegare lavoratori meno competenti ma “connessi”, e disincentiva i migliori a investire risorse per l’accesso a tali occupazioni.
Una delle principali cause di questo fenomeno va rintracciata negli schemi retributivi adottati nel pubblico impiego, in particolare nel fatto che generalmente i dirigenti o responsabili non sopportano economicamente le conseguenze delle scelte effettuate nelle selezioni pubbliche: se si assume il figlio incompetente del proprio collega si ottengono favori/tangenti/riconoscenza/lealtà da parte di quest’ultimo, ma praticamente nessuna penalizzazione in termini di minore remunerazione, nonostante l’organizzazione registri performance peggiori come conseguenza delle cattive selezioni. D’altra parte, la scarsa presenza di meccanismi retributivi incentivanti non penalizza nemmeno il “raccomandato” anche se svolgerà male il suo lavoro.
La riforma della pubblica amministrazione verso una più diffusa adozione di remunerazioni legate alla performance potrebbe contribuire al miglioramento della selezione della forza lavoro, ma è essenziale un meccanismo che premi o penalizzi economicamente i responsabili delle selezioni in relazione alla qualità delle scelte effettuate.
Saluti. Giorgio.